Olmo
L’olmo – l’albero dimenticato
Informazioni generiche
L’olmo campestre (ulmus minor) è una pianta molto diffusa in Italia e, nonostante questo, abbandonata e per tanti versi dimenticata.
Il motivo dell’abbandono di questo albero è soprattutto la grafiosi, una malattia (fungo patogeno) che ha decimato gli esemplari adulti a partire dalla prima metà del ‘900. Per questo motivo, nonostante qualche eccezione è inusuale che oggi si utilizzino olmi per nuove piantumazioni.
Nonostante la grafiosi l’olmo è sopravvissuto e vegeta ancora molto vigorosamente in gran parte dell’Italia essendo particolarmente ben adattato al clima e ai suoli. Lo si ritrova con frequenza ai margini delle strade e in incolti dove forma siepi e piccoli boschi; tralasciamo allora per un attimo la malattia fungina per approfondire le virtù di questa pianta.
L’olmo, nome comune per ulmus, appartenente alla famiglia delle Ulmacee, è un albero con una struttura imponente ed una certa eleganza, originario dell’Europa, dell’Asia e del Nord America e diffuso soprattutto nell’emisfero settentrionale.
L’albero raggiunge dai 25 ai 40 metri d’altezza a seconda della varietà. Le varietà più presenti in Europa sono quattro ma in totale esistono minimo 30 varietà di olmo. Nel nostro paese si trovano prevalentemente le specie campestre e montano. L’olmo ha una foglia decidua, semplice, ovoidale, a margine seghettato. L’albero produce dei frutti chiamati “samara” che maturano verso luglio/agosto. I fiori dei frutti crescono già verso la fine dell’inverno e precedono la crescita del fogliame.
Impieghi e proprietà
Il legno di olmo è un legno particolarmente resistente che nel passato è stato utilizzato per fare i mulini ad acqua, per fare certi tipi di navi, per costruire parti sottoposti a sforzi di torsione e trazione. Oltre a ciò è sempre stato utilizzato per costruire mobili di buona fattura.
La lavorabilità del legno è considerata ottima perché stagionatura, segagione, piallatura, fresatura, unione con chiodi o viti, incollaggio sono tutti di facile esecuzione.
Una caratteristica dell’olmo e quella di raccogliere al suo interno la silice presente nel terreno e se la pianta cresce in una zona particolarmente ricca di silice (terreni sabbiosi) la lavorazione del legno diventa particolarmente difficoltosa, tanto da definirlo da parte di alcuni falegnami come “olmo rabbioso”. Questa difficoltà di lavorazione che abbiamo notato anche nella nostra falegnameria è dovuta al fatto che gli utensili perdono rapidamente il filo.
Con la corteccia particolarmente fibrosa e resistente si facevano nel passato stuoie e cordami.
Informazioni storiche culturali e curiosità:
A partire dagli anni venti dello scorso secolo l’olmo europeo e nord-americano è stato attaccato da un fungo che lo sta decimando. La malattia (definita della “grafiosi”) portata da un fungo ha avuto un leggero arresto a partire dal secondo dopoguerra ma già dalla fine degli anni sessanta grazie all’azione di un nuovo fungo ancora più letale l’olmo è di nuovo sotto attacco e in forte pericolo. In Italia sono morti praticamente tutti gli alberi adulti. Gli alberi piccoli di due o tre metri, invece, non sono oggetto di attacco da parte del fungo. Grazie a ciò e alla ricerca scientifica, che ha permesso di selezionare una varietà di olmo resistente alla malattia, non esiste il rischio di estinzione dell’albero.
Un tempo, anzi fin dai greci e dai romani, come diversi scritti di storici dell’epoca ci dimostrano l’olmo veniva utilizzato come sostegno della vite, tanto che si affermava che “la vite si maritava con l’olmo”.
Quella della vite con l’olmo è una simbiosi, che coinvolge probabilmente l’apparato radicale e funghi simbionti delle radici delle due piante (micorrizae). Probabilmente l’olmo era molto di più che un semplice “tutore” come invece spesso si legge nelle descrizioni della viticultura tradizionale.
Una volta quando si affermava “fare la foglia” genericamente si intendeva dire di raccogliere le foglie d’olmo: foglie molto nutrienti che venivano date in pasto agli animali, in particolare alle vacche da latte. Oggi le foglie d’olmo non vengono più utilizzate come cibo per il bestiame perché la sua raccolta richiederebbe tempo e sarebbe infruttuoso dal punto di vista economico.
Nel periodo medievale, era usuale, soprattutto in Francia, che al di fuori dal castello venisse piantato un olmo. E al di sotto di questo albero veniva amministrata la giustizia. Dopo l’usanza medioevale altri sovrani in tempi più vicini vollero circondarsi di olmi. Enrico IV chiese che le strade del regno fossero fiancheggiate da olmi e ne incoraggio la diffusione così che è possibile datare con una certa precisione, intorno ai quattrocento anni, gli esemplari più vecchi sopravvissuti in Francia.
Frassino
Il Frassino maggiore – Fraxinus excelsior
Il nome latino della specie, excelsior, significa più alto, più nobile, e ci aiuta a ricordare uno degli elementi distintivi del frassino maggiore: insieme a tiglio, olmo, acero, farnia, ciliegio, è una delle latifoglie “nobili” dei boschi che crescono in climi temperati.
Queste specie non formano mai boschi puri ma crescono mescolati tra loro o con altre specie, e sono dette “nobili” perché forniscono legname con pregiate caratteristiche tecnologiche, più nobile quindi della semplice legna da ardere.
Il legno di frassino, duro ma elastico, era utilizzato fino alla prima metà del secolo scorso per produrre attrezzature sportive, come sci e racchette da tennis, o per costruire manici di attrezzi da lavoro, o parti di carri e slitte, e per qualunque uso richiedesse elevata resistenza al piegamento. La storia ci racconta che le armi degli antichi Greci fossero in bronzo, con manici di frassino. E nell’Iliade si legge che di frassino fosse anche l’asta della lancia che Achille impugnò per uccidere Ettore. Oggi la bellezza delle sue chiare venature, con riflessi quasi madreperlacei, fa sì che sia usato soprattutto per produrre mobili e sculture.
Possiamo cercare il frassino nei boschi misti collinari e montani, fino ad una quota di circa 1.500 m s.l.m. Un albero maturo può raggiungere anche i 40 metri di altezza: con l’età infatti diventa sempre più “eliofilo”, ossia amante del sole, e cerca di superare le chiome circostanti per raggiungere la luce.
Ha un tronco slanciato, non molto ramificato, con una corteccia liscia e verdastra da giovane, che diventa poi quasi grigia e fessurata verticalmente con l’età.
Durante l’inverno i rami spogli sembrano decorati dalla presenza dei grappoli dei frutti, le samare, composte da una noce oblunga e appiattita e da una lunga ala. Grazie a questa ala il frassino affida i suoi semi al vento, per assicurarsi la diffusione al suo intorno, anche se entro brevi spazi. Il seme diverrà bruno, cioè maturo, in ottobre, ma sarà profondamente dormiente, ed avrà bisogno di lunghi periodi di caldo seguiti da altrettanto lunghi periodi di freddo per poter germinare, e non prima di due anni dal suo imbrunimento. Solo dopo tutta questa pazienza nascerà una nuova piantina…
Accanto alle grosse gemme quasi nere, che sembrano scuri gioielli sui rametti grigi, spuntano all’inizio della primavera dei fascetti di filamenti (gli stami) con l’apice rosso scuro (le antere). Solo più tardi appaiono le foglie, un po’ particolari: infatti ogni foglia (detta composta) è formata da tante foglioline sempre in numero dispari (ne possiamo trovare da 7 a 15) dal margine leggermente seghettato.
Il genere Fraxinus appartiene alla famiglia delle Oleacee (di cui fa parte anche l’olivo) e la settantina di specie che ne fa parte si trova solo nell’emisfero settentrionale. In Italia, oltre al maggiore, è possibile trovare altri due frassini:
- l’Ossifillo, (Fraxinus angustifolia) ha dimensioni leggermente più piccole del maggiore e le sue gemme sono color caffè; cresceva abbondante nei boschi di pianura esistenti nella pianura Padana prima che venissero sostituiti dalle coltivazioni agricole e dai centri abitati. Ora lo si trova nelle macchie e nei boschetti di pianura in zone dove il terreno è ricco di acqua, oltre che nelle aree verdi cittadine, insieme ad orniello e maggiore.
- l’Orniello (Fraxinus ornus) è più piccolo degli altri due, ha le gemme grigie ed un numero minore di foglioline (da 5 a 9); ha bisogno di meno acqua e cresce anche in collina e versanti secchi.
Nell’antica Grecia il frassino era l’albero di Poseidone, Il Nettuno dei Romani, dio che regnava sulle acque e che provocava sismi quando si adirava. Il frassino attirava il fuoco celeste e, al suo seguito, le piogge fecondatrici. Mediatore fra cielo e terra, il frassino divenne l’albero cosmico dei Germani. Nel calendario degli Alberi dei Celti il frassino rappresentava il terzo mese, da metà febbraio a metà marzo, periodo in cui si scatenano temporali che annunciano la primavera, spesso seguiti da piogge torrenziali, causa talvolta di inondazioni.
Questo legame del frassino all’acqua che ritroviamo nei miti è forse dovuto al suo elevato consumo di acqua, ed alla sua capacità di poter vivere per lungo tempo anche con le radici sommerse.
In tutta Europa era considerato albero guaritore di disparati mali, dal rachitismo al morso di serpente, per le sue proprietà emollienti e depurative.
La presenza di salicilina nella corteccia di frassino la rende effettivamente un ottimo rimedio vegetale nella cura della febbre, mentre le foglie dell’albero sono utilizzate nella creazione di infusi diuretici.
Incidendo il tronco del frassino minore si ottiene invece la “manna”. Da non confondere con il cibo biblico, questo essudato a contatto con l’aria diventa soffice e dolce e si scioglie facilmente in acqua; ricca di mannitolo, uno zucchero semplice inassorbibile dal nostro organismo, la manna si comporta come blando lassativo. L’estrazione della manna in Italia veniva praticata nei secoli scorsi soprattutto in Sicilia, dove l’orniello trova condizioni ottimali per la sua crescita.
IL FRASSINO A LA CORTE D’INVERNO
Qui alla Corte d’Inverno il Frassino è di casa: con il legno di frassino costruiamo letti, armadi, librerie, tavoli e tanto altro.
Solitamente è un legno dal colore bianco – rosato; talvolta però il frassino sviluppa un “cuore colorato”, un duramen dal colore grigio – bruno a disegni ondulati. Per la vaga somiglianza con il legno di olivo (parente botanico del frassino) il legno con questi disegni particolari viene chiamato “frassino olivato”.
Scritto per La Corte d’Inverno dalla Dott. Forestale Claudia Alzetta
Cirmolo
Il Cirmolo – Pinus cembra
Chiamato amichevolmente Cembro o, in nord Italia, Cirmolo, è un albero sempreverde tipico delle zone di alta quota delle Alpi, dove trova condizioni ottimali tra i 1500 e i 2200 m di altitudine: assieme al Pino mugo, è l’albero che riesce a vivere alle maggiori altitudini sulle nostre montagne.
Può diventare alto fino a 25-30 m, cresce lentamente e vive per parecchie centinaia di anni, superando anche i 1000 anni di età.
Il pino cembro si può trovare in boschi misti con l’abete rosso, più raramente con il larice, ma può formare anche pregiati boschi puri, dalle Alpi Marittime (Val Varaita) all’Alto Adige (Val Gardena, Val Badia e alta Pusteria).
In Veneto non forma mai boschi puri ma si mescola a larice ed abete rosso: lo possiamo incontrare tra le splendide Dolomiti nella conca di Misurina, fino al Passo Giau e al Passo Falzarego.
Camminando in alta quota capita di trovare esemplari isolati, spesso in prossimità di massi, cresciuti in luoghi improbabili e all’apparenza inospitali. Sono questi i cembri nati dai semi dimenticati dalla nocciolaia, un uccello dalla livrea bruna macchiettata di bianco che frequenta i boschi di alta quota.
La nocciolaia ha una speciale tasca al di sotto della lingua, dove immagazzina i pinoli ricchi di proteine estratti con fatica dalle pigne (che per questo motivo raramente si riescono a trovare intatte al suolo) per consumarli in un secondo momento, oppure per trasportarli altrove e nasconderli in buchi nel terreno lontano da occhi indiscreti. Come altri corvidi, in estate distribuisce qui e lì depositi di cibo da utilizzare d’inverno, quando il suolo è coperto da uno spesso strato di neve. Può capitare che qualche nascondiglio venga dimenticato, e la primavera seguente il seme germogli dando vita ad un nuovo albero.
IL LEGNO DI CIRMOLO
Grazie alla particolare caratteristica di avere un passaggio molto dolce tra legno primaverile e legno tardivo, che lo rende facilmente lavorabile, il cirmolo si presta molto bene all’intaglio. Anche i numerosi nodi (un nodo altro non è che il ramo che rimane racchiuso nel fusto man mano che questo cresce) sono ben aderenti, risaltano con vigore nel legno e si possono lavorare molto bene. Per questo il cirmolo è spesso il legno preferito dagli scultori, nelle botteghe artigiane della Val Gardena (ma anche della Val Aurina, della Val di Tures….) si possono trovare bellissime sculture, di varie dimensioni, ricavate nel cirmolo con le sgorbie.
Ma il cirmolo viene tradizionalmente impiegato anche per la costruzione di mobili : armadi e cassepanche, vista la sua attitudine ad allontanare le tarme, ma anche culle e letti e per il rivestimento di stanze: le tipiche “stube” tirolesi sono le stanze in cui a fine giornata si riunisce la famiglia e ci si riposa dopo il lavoro.
E’ il profumo che emana il cirmolo a stimolare il riposo: come la maggior parte delle conifere anche il legno di cembro è ricco di canali resiniferi all’interno dei quali si trova appunto la resina, sostanza complessa composta da olii eterici, terpeni, alcoli ed altre molecole. Queste sostanze emanano un gradevole profumo, particolarmente persistente nel caso del cembro, e ricco di effetti positivi.
Questo pregiato legno ha infatti la capacità di abbassare la frequenza cardiaca e migliorare quindi la qualità del sonno, permettendo di recuperare le energie. Rallentando la frequenza di battiti cardiaci, in una notte si possono risparmiare fino a 3500 pulsazioni, vale a dire un’ora di lavoro cardiaco.
Per questo motivo dormire in un letto di legno di cirmolo ha un impatto particolarmente positivo sul benessere; ma si ottiene un effetto rilassante anche posando la testa su di un guanciale confezionato con trucioli di cirmolo, o tenendo accanto al letto un sacchetto pieno di trucioli profumati.
L’olio essenziale di cembro, ottenuto dalla distillazione di aghi e rametti, può essere aggiunto in gocce ad un olio vegetale per massaggi in caso di dolori muscolari o per riattivare la circolazione sanguigna degli arti inferiori ,diffuso nell’ambiente è un aiuto per le vie respiratorie, versato in poche gocce nella vasca da bagno regala un bagno balsamico e calmante.
IL CIRMOLO ALLA CORTE D’INVERNO
Armadi, cassapanche, letti e le bellissime culle appese (uno dei nostri ultimi progetti): abbiamo spesso la fortuna di lavorare il cirmolo, ed è per questo che il nostro laboratorio è così profumato. Passa a trovarci, e conoscerai di persona il magico aroma del legno di cirmolo ed i suoi benefici effetti.
Scritto per La Corte d’Inverno dalla Dott. Forestale Claudia Alzetta